Gli Stati Uniti ospitano una conferenza virtuale con la Cina e gli inquinatori globali. Bene, purché non sia solo una inutile vetrina
ROMA – Un’intervista ad Ankara, prima della pandemia. Sorridente nel caftano azzurro, Ibrahim Thiaw cambia improvvisamente tono ed espressione. Aggrotta le ciglia, fa una pausa, poi elenca numeri e superfici quasi fosse un geometra. “Ci siamo giocati un’area grande come due Cine” scandisce come guardando un punto all’orizzonte.
Per questo signore alto e distinto, originario della Mauritania, i paragoni intercontinentali sono pane quotidiano. Da segretario della Convenzione dell’Onu contro la desertificazione (Unccd), è incaricato di coordinare l’attuazione di un trattato sottoscritto 27 anni fa da 196 Paesi. Nel suo lavoro c’è anche un dolore di bambino: “Mio padre fu portato via di notte; a Niakwar, lungo il fiume Senegal, nel tratto della Mauritania che segna il confine, i militari arrivarono a bordo dei pick-up”. Era il 1989. Dopo gli scontri tra comunità fulani e wolof innescati dalla siccità, il governo mauritano decise di deportare in Mali e in Senegal 60mila persone, sostenendo che per loro non ci fosse più posto. Il padre di Thiaw era tra quelle: morì in un campo profughi.
Oggi nei tribunali mauritani continuano ad arrivare, da parte di chi spera di tornare, richieste di risarcimento e petizioni per i terreni lungo il fiume. Oggi, nella Giornata della Terra, questa storia ci riguarda. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, ogni anno le persone costrette a lasciare le proprie case da cambiamenti e fattori climatici sono in media 23 milioni. Dovrebbero tenerne conto, i 40 capi di governo che oggi saranno ospiti in videoconferenza del presidente americano Joe Biden. Bene la trattativa tra i Grandi inquinatori. Purché non sia solo “interessi nazionali”, lotta per la supremazia o inutile vetrina.
fonte «Agenzia DiRE» e l’indirizzo «www.dire.it». Vincenzo Giardina