L’indagine ha anche evidenziato come la pandemia abbia il potenziale di annullare i successi di conservazione già conseguiti negli anni
ROMA – Degrado degli habitat naturali, bracconaggio e commercio illegale ci stanno portando via il leone africano (Panthera leo), predatore ai vertici della catena alimentare, la cui presenza non solo è necessaria per la salute dei sistemi naturali, ma sostiene le economie dei paesi e produce notevoli benefici per le comunità locali attraverso le attività legate al turismo.
Oggi i leoni selvatici al mondo sono solo 20mila (in 100 anni è crollata del 90% la popolazione di leoni in Africa) e fra le cause che mettono a rischio il loro futuro si è aggiunta la pandemia da COVID-19, minaccia senza precedenti che ha avuto conseguenze significative su tutte le attività svolte nelle aree protette, aggravate dalla cronica mancanza di personale.
A mostrarlo la recente indagine condotta in 19 Paesi dell’Africa da IUCN, World Commission on Protected Areas, in collaborazione con l’African Wildlife Foundation, che ha analizzato gli impatti su attività di base svolte normalmente nelle aree protette: dagli interventi di tutela della biodiversità alle operazioni necessarie a garantire la sicurezza di questi territori, dalla attività economiche in grado di generare introiti, alla collaborazione con gli stakeholders e le comunità locali.
L’indagine ha anche evidenziato come la pandemia abbia il potenziale di annullare i successi di conservazione già conseguiti negli anni: il COVID-19 ha fatto crollare le risorse finanziare, mostrando la quasi totale dipendenza degli introiti a sostegno delle aree protette dai turisti provenienti da paesi esteri.
Secondo il World Travel and Tourism Council, il turismo naturalistico genera ogni anno circa 340 miliardi di dollari e garantisce oltre 21 milioni di posti di lavoro e si stima che la pandemia abbia causato una perdita complessiva di 174 milioni di posti di lavoro e un mancato contributo al PIL globale pari a 4.700 miliardi di dollari. Grazie al turismo verso i leoni e la fauna selvatica in generale, le comunità ricevono degli importanti benefici diretti, tra cui la possibilità di creare attività imprenditoriali e di generare occupazione e reddito.
Le comunità che vivono all’interno o intorno alle aree protette sono quindi incentivate a proteggere la fauna selvatica e i loro habitat, svolgendo un prezioso ruolo di custodia delle specie carismatiche, cruciale per la conservazione della biodiversità. Le restrizioni agli spostamenti e la diffusione dell’infezione stanno però impoverendo centinaia di milioni di persone che vivono nelle aree più ricche di fauna selvatica.
In Africa il turismo naturalistico genera più di un terzo di tutte le entrate legate al turismo e prima della pandemia, le aree protette ricevevano circa 8 milioni di visitatori l’anno. Un caso emblematico è quello della Namibia, che nel 2019 ha ricevuto circa 1,7 milioni di turisti stranieri e dove la pandemia ha bloccato del tutto il turismo. La pandemia ha messo in crisi anche il lavoro dei ranger, che svolgono un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio tra la componente naturale e quella umana, tutelando e gestendo le risorse naturali, moderando le interazioni dell’uomo con la natura e fungendo da deterrente alle attività illegali nelle aree protette. Grazie ai loro servizi, i ranger contribuiscono a ridurre la probabilità di future pandemie di origine zoonotica, svolgendo così un servizio sanitario di rilievo planetario.
A causa della pandemia la lotta contro il bracconaggio, la deforestazione, la raccolta illegale dei prodotti non forestali e altri crimini ambientali è diventata molto più difficile. In alcuni paesi, le attività sono state ridotte significativamente a causa dei tagli al personale e della riduzione dei budget riservati alle attività operative sul campo; anche l’accesso limitato ai dispositivi di protezione individuale ha influito negativamente sull’operatività dei ranger, mentre in molti casi il personale adibito alle operazioni di controllo è stato riassegnato ad altri servizi mirati a controllare la diffusione dell’epidemia. In questa fase di pandemia i ranger africani hanno evidenziato un incremento soprattutto della caccia di sussistenza verso le specie selvatiche, oltre ad attività illecite di deforestazione e distruzione degli habitat.
In assenza di misure efficaci e di progetti di conservazione dedicati i leoni diminuiranno di un ulteriore 50% nei prossimi due decenni in Africa occidentale, centrale e orientale. Per salvare questa straordinaria specie dall’estinzione, il WWF lancia il progetto “SOS Leone”: dal 9 al 23 maggio ogni donazione al 45585 con SMS o chiamata da rete fissa sosterrà il programma globale per salvare i grandi felini del pianeta con l’obiettivo di raddoppiare entro il 2050 il numero dei leoni che vivono in natura, invertendo una tendenza che rischia di portarli verso l’estinzione.
Un’area in cui la pandemia esercita un peso fortissimo sul futuro dei leoni è quella di SOKNOT (acronimo di Southern Kenya – Northern Tanzania), più estesa della Grecia a cavallo fra Kenya e Tanzania, che custodisce una delle più grandi popolazioni di leoni e i parchi nazionali più famosi nel mondo per questo grande felino come il Masai Mara, Amboseli, Kilimangiaro e Serengeti. La mancanza di turisti provocata dalla pandemia sta determinando una situazione di grave crisi: sia per mancanza di fondi sia per la riduzione dei controlli (non a caso, il primo rinoceronte bracconato all’interno di una delle aree di conservazione autogestite negli ultimi due anni si è avuto nell’aprile del 2020). SOKNOT è il più importante fra gli 8 territori prioritari selezionati dal WWF per raddoppiare il numero dei leoni in Africa entro il 2050.
SOKNOT è uno degli ambienti naturali più antichi, complessi e meno disturbati della Terra, costituito da otto aree protette gestite dallo Stato e da 32 aree di conservazione gestite dalla comunità, che sono fondamentali per gli spostamenti della fauna selvatica attraverso i due stati. È questo il territorio di quello che rimane delle grandi e straordinarie migrazioni che spostano ogni anno milioni di animali tra gnu, zebre, antilopi, gazzelle, e dietro a loro appunto i leni. Quest’area contribuisce ogni anno con 3,2 miliardi di dollari alle economie del Kenya e della Tanzania attraverso il turismo naturalistico, fornendo circa 3 milioni di posti di lavoro e 10 milioni di dollari alle aree protette.
Negli ultimi decenni purtroppo l’intera area è stata sottoposta a crescenti pressioni da parte dell’uomo – sotto forma di agricoltura, industria, turismo, bracconaggio, caccia di sussistenza e conseguente scomparsa della prede naturali – con conseguente drammatico declino della popolazione di leoni. E il Covid-19 ha aggravato la situazione, rischiando di creare la tempesta perfetta per il futuro di questo straordinario felino.