Home LA VOCE DEL LETTORE VAN GOGH E I PLATANI CAPITOZZATI

VAN GOGH E I PLATANI CAPITOZZATI

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Non si crede eppure ripetutamente il sommo artista ha parlato e soprattutto dipinto i platani capitozzati e da lui chiamati proprio così, con disprezzo, capitozzati, già alla sua epoca: pollard. Si sa che VG è stato essenzialmente il pittore della natura: i fiori, i campi di grano, gli oliveti, i cipressi, il firmamento, i girasoli, gli iris per cui il suo rapporto con i campi e i monti era molto sentito. I due anni trascorsi a Parigi gli avevano alienato completamente l’esperienza della vita cittadina coi suoi frastuoni, gli uomini, la confusione e furono pretesto per andarsene e realizzarsi altrove, assieme  a sentimenti autentici di cambiamento e di nuove ispirazioni. Trovarsi nell’assolata e profumata Provenza fu per lui una nuova vita e una felice scoperta. Il rapporto con le montagne, gli alberi, i fiori divenne  una componente della esistenza e in più lettere espresse in particolare il suo amore per gli alberi: nessun artista ha dipinto cipressi e salici o platani e olivi in tanta quantità e con così grande maestria e devozione: guardando certe sue opere si direbbe che i cipressi specialmente e gli olivi parlino e giubilino con lui, laddove i salici e i platani ischeletriti a causa della capitozzatura gemono e singhiozzano.  Certe immagini sono quasi antropomorfe, danno l’idea di uomini mutilati, in pianto!  Perciò la capitozzatura delle chiome e dei rami che più volte ci mostra nei suoi quadri e praticata alla sua epoca in certe zone è una manifesta accusa agli autori dello scempio, a significarne disapprovazione e rimbrotto. La capitozzatura è ancor oggi praticata in certe parti dell’Italia primitiva e rozza:  qui, di conseguenza, si è persa la conoscenza della fisionomia dell’albero coi rami e le foglie! Il bambino che non ha altre esperienze, è così che vede e vive un albero: capitozzato! Solo tronchi e rametti che spuntano fuori. 

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Non si è ancora compreso che tale erronea potatura spesso porta all’essiccazione della pianta, a parte lo spettacolo contro natura che offrirà per sempre. A parte anche gli uccelli rimasti senza casa.

Si ricordi come Giacomo Balla vedeva gli alberi di Villa  Borghese: “I tronchi cantano”  oppure Augusto Jandolo che descrive i colpi micidiali:  “Ogni accettata … apriva ‘na ferita e, pel dolore, er tronco lagrimava”.   E lo stesso Augusto Sindici che percepiva i “singhiozzi e pianti” dell’albero sotto l’accetta.

Oggi che una parte della umanità sta ampliando i propri orizzonti, comincia a maturare la presa di coscienza  che abbattere un albero o ammazzare un agnelluccio o un vitello o un porchetto per poi divorarlo è,  anche se incredibile, il massimo della colpa e anche una forma di suicidio  perché gli animali e gli alberi  sono come l’aria, l’acqua, l’ambiente, beni supremi, che non si proteggono e preservano da soli!

                                                              Michele Santulli