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Epatite C, Asl Avellino: la priorità è il trattamento terapeutico

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Ricercare sommerso in chi afferisce al Serd e in popolazione carceraria

“Il territorio dei nostri servizi è costituito da un’area urbana, quella di Avellino, quindi di più facile raggiungimento dei servizi, e da un’area un poco più periferica del territorio dell’alta Irpinia, per il Ser.D. di Grottaminarda, in cui il servizio è un po’ più difficile da raggiungere. Una politica di Point of care per quanto riguarda l’esecuzione del test all’interno del servizio sarebbe quindi estremamente utile. Noi sappiamo, però, da esperienze fatte, visto che testiamo tutti gli utenti attraverso il laboratorio di analisi, che per tutta una serie di motivi esiste un grosso gap fra i pazienti che sono stati testati e rilevati positivi sia al test per la rilevazione dell’anticorpo da HCV, sia al test per la quantificazione dell’RNA e l’invio successivo all’ospedale per il trattamento. Questo è collegato principalmente a una delle caratteristiche tipiche delle nostre utenze, che dovendo seguire tutta una serie di procedure si perdono per strada. E quindi abbiamo individuato come priorità assoluta il trattamento terapeutico presso il nostro servizio, per cui uno dei medici dell’ospedale si dovrebbe recare con il suo servizio per intraprendere un trattamento, che poi è più facile con i pangenici, e seguire poi successivamente la terapia. Per questo ci stiamo muovendo e dalla parte dell’ASL c’è una sensibilità maggiore nei confronti di questa prospettiva”. Lo ha dichiarato il dottor Giuseppe Straccia, Direttore del Servizio Dipendenze ASL di Avellino, intervenuto in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo incondizionato di AbbVie.Il corso, dal titolo ‘Epatite C: ricerca del sommerso e linkage to care nel paziente con disturbi da uso di sostanze – L’importanza di un approccio multidisciplinare’, rientra nell’ambito di ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane. Nel corso del proprio intervento il dottor Straccia ha inoltre sottolineato che “le difficoltà preminenti che abbiamo avuto negli ultimi periodi sono state collegate in particolare all’epidemia da Covid, che ha dato priorità a tutta un’altra serie di servizi, tenuto conto, come è noto un po’ a tutti, che la carenza di infermieri, la carenza di personale medico, che è stato in parte delegata proprio per via di queste carenze allo screening, alle vaccinazioni per quanto riguarda il Covid. È chiaro che questo è un periodo in cui ci sono state grosse difficoltà a livello ospedaliero, ma questo non solo per il reparto malattie infettive ma anche per altri tipi di reparti su cui si sono osservate situazioni più prudenziali, quindi l’accesso è un po’ più difficile”.”Adesso- ha continuato l’esperto- se la situazione si dovesse stabilizzare non ci sono problemi. Abbiamo poche difficoltà, perchè abbiamo collaborato, se il paziente si recava sia con l’ospedale di Avellino, sia con l’ospedale di Benevento, sia con l’ospedale di Ariano Irpino, a seconda di dove il paziente riteneva più opportuno legarsi per via della privacy, perchè sono persone conosciute nel territorio”.”Quindi- ha concluso Straccia- non intravedo questa difficoltà se si redigono protocolli abbastanza semplici e facili da realizzare. Ed è quello che stiamo proponendoci di fare, sia con l’ospedale di Avellino, sia con la struttura di Ariano Irpino”.All’evento ha preso parte anche il Dottor Mario Secondulfo, Dirigente medico Unità Fegato, AORN San Giuseppe Moscati di Avellino. “I dati epidemiologici attuali- ha commentato- come dice anche il dottor Straccia, stimano che il più grande sommerso di pazienti affetti da epatite da virus C si nasconda nei soggetti che afferiscono ai Ser.D. e nella popolazione carceraria. Purtroppo si tende molto a sottostimare la presenza di altri e ben definiti fortini dove il virus C si nasconde. Qui li ricapitoliamo per brevità. Molti dei pazienti che afferiscono ai reparti di oncoematologia presentano una infezione da virus C che spesso rimane sotto traccia e non si cura pensando ancora alla vecchia terapia con gli interferoni o pensando che le nuove terapie possano interferire con la chemioterapia stessa”.”Tanti pazienti affetti da epatite C ma cardiologici magari in cura con NAO e statine- ha continuato- non vengono indirizzati a cura. Pazienti transitati nei reparti di chirurgia che presentano infezione si perdono al follow up perchè non indirizzati correttamente dallo specialista. Giusto per fare un esempio. Inoltre, presso i medici di medicina generale ci sono due gruppi di pazienti sommersi. Il primo è costituito da quelli trattati con gli interferoni e che sono risultati intolleranti, che non hanno capito che i farmaci vitali attuali sono completamente diversi da quanto tristemente sperimentato da loro in passato. Il secondo gruppo sono i genotipi 2 normal alt, che non trattati per il passato necessitano di terapie!”.A tal proposito, Secondulfo ha dichiarato che “occorre quindi instaurare tra l’epatologo, gli specialisti ospedalieri e del territorio, nonché con il medico di medicina generale, un rapporto di proficua collaborazione che permetta di scardinare queste ultime e non meno importanti roccaforti”.