Filo conduttore che lega pitture e sculture in osmosi continua tra la precarietà della vita, tempo cadenzato e una straordinaria libertà espressiva
Con i suoi “Tempi paralleli”, l’artista Sabrina Barbagallo espone trentuno opere (16 quadri e 15 sculture) in cui pittura e scultura dialogano intrecciando tre diversi concetti di tempo. L’esposizione, dal 2 al 4 dicembre, ospitata negli spazi romani di Palazzo Chigi – Sala Orsini a Formello, è a cura di Nicoletta Rossotti. Nella personale di Sabrina Barbagallo si intrecciano quattro diversi concetti di tempo. Ci sono le prospettive urban, dove tutto è apparentemente immobile; ci sono i concetti di “cadenzato” e “lento”, legati ai tempi di lavorazione del raku, materia prima di cui sono fatte le sculture, con i diversi passaggi di cottura e ridefinizione; poi c’è il tempo dell’artista, il momento in cui arriva l’intuizione creativa; e il tempo come viaggio nei vari mondi della fantasia per chi produce l’arte e per chi la osserva.
Le città dell’artista Sabrina Barbagallo sono caratterizzate da architetture solide, spazi reali e tangibili resi da un’atmosfera sospesa e disincantata. Incontriamo grattacieli che con straordinaria verticalità corrono in alto, macchine e treni in corsa in scenari urbani e metropolitani resi con straordinaria volumetria e prospettiva degna di una mano certa ed esperta. Improvvisamente, guardando con attenzione queste città dove tutto appare silenziosamente immobile, vediamo piccole figure di funamboli, che camminano in alto su fili finissimi, attraversando paesaggi che conducono la mente al di là del semplice scenario “urban”. Il linguaggio dell’artista Barbagallo lo ritroviamo, così, intriso di un alone filosofico, di un pensiero che va oltre il dato reale rappresentato sulla tela. Non si parla più solo di ciò che si vede ma percepiamo il pensiero dell’artista che fa un passo verso un mondo diverso. Si parla e ci si accosta attraverso quei fili e figure di ometti che rimangono sospesi in aria, della caducità della vita, della precarietà dell’oggetto rappresento, e della fragilità umana sospesa in aria in cui in un attimo tutto può cadere e tutto può finire. La caducità della vita è un concetto già esplicato fin dall’Antichità che si diffonde in opere letterarie. Lo ritroviamo nell’Iliade di Omero, nelle poesie di Quasimodo, Ungaretti, nel Bacchino Malato; opera giovanile del Caravaggio o in opere di Guercino e Salvador Rosa. Nelle città incantate o disincantate dove tutto è sospeso, nel tempo cadenzato, l’artista ci fa fare un salto nel mondo dell’immaginario. Da Occidente a Oriente troviamo questo concetto che accompagna la storia dell’uomo, evidente anche nella cultura giapponese, nella filosofia zen e nell’estetismo giapponese: l’aware che esprime la bellezza effimera delle cose che tendono a svanire, fino ad arrivare al mondo fantastico delle sculture in Raku, che rappresentato personaggi delle fiabe classiche.
Figure più note delle favole, cotte con l’antica tecnica giapponese, vengono realizzate da Sabrina Barbagallo con maestria e sapienza e rese all’occhio dell’osservatore, come piccoli oggetti da venerare, da guardare da lontano per la fragilità e bellezza.
A rendere ancora più evidente l’aspetto ammaliante, sono le preziose venature madreperlacee che donano a ogni scultura un aspetto sontuoso ed elegante. Filo conduttore che lega pitture e sculture in osmosi continua tra la precarietà della vita, tempo cadenzato e una straordinaria libertà espressiva, è il mondo fantastico e fantasioso popolato da presenze di personaggi fiabeschi funamboli, resi con colori e tonalità sempre calde. Una poeticità che si fonda tra presente e passato, in una dimensione fantastica a volte onirica ma non surreale.
H di P