Paolo Battaglia La Terra Borgese spiega: l’araldica (questa sconosciuta) è l’arte del blasone, è dunque la scienza che si occupa degli stemmi. L’araldica tende quindi a seguire e a compilare la storia degli stemmi, ed inoltre fissa le regole che ne disciplinano la forma, le figure egli ornamenti.
La parola «araldica» deriva da «araldo», che significa «messo». Prima ancora che questo termine si trovasse nell’uso comune, esistevano persone che adempivano a quello che sarà poi il compito degli araldi – spiega il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese -. Già verso la fine del XII secolo apparvero alle corti, durante le feste ed i tornei, personaggi con vesti dalle sfarzose e ricche tinte, che si occupavano perché tutto regolarmente si svolgesse durante il torneo, che eseguivano ambasciate e presentavano alla gara i forestieri e alla fine del torneo celebravano le vittorie dei vincitori con canti di esaltazione.
Questi presentatori all’inizio (araldi ancora non si chiamavano) non erano stabili alle corti, ma girovagavano di paese in paese, ora al servizio di una corte ora di un’altra. A poco a poco, però, questi presero una dimora stabile e verso la metà del XIV secolo furono denominati araldi dai loro signori.
La cerimonia, in seguito alla quale si era creati «araldi» – continua Paolo Battaglia La Terra Borgese -, era di grande solennità e magnificenza: due erano i momenti più significativi: il battesimo degli araldi a cui seguiva la vestizione. La veste che veniva assegnata dal signore al nuovo eletto era una lunga tunica contraddistinta sul davanti e sul dietro dallo stemma del signore; ad essi pure veniva dato un bastone dai colori della bandiera o delle insegne del territorio.
Compito di questi personaggi era quello di osservare le armi (arme, stemma) di tutti i partecipanti ai tornei affinché gli ornamenti e le figure degli elmi e degli scudi fossero compresi nelle leggi araldiche e appartenessero alla famiglia del cavaliere che le presentava.
Gli araldi dovevano conoscere quindi le norme che regolavano l’uso degli stemmi ed anche le insegne di moltissime famiglie: col tempo, allo scopo di tramandare ai posteri le loro cognizioni in materia, si vennero formando libri in cui erano descritti e riprodotti i vari stemmi, gli scudi e gli elmi.
Verso la metà del XVI secolo, l’istituzione degli araldi andò scomparendo, poiché pure scomparivano i tornei, e la loro funzione veniva così a mancare di significato.
Ai nostri giorni in Inghilterra l’istituzione degli araldi è mantenuta; esiste infatti l’Heralds’ College o College of Arms.
Le fonti dell’araldica sono scritte e figurate. Scritte: la storia politica e culturale, gli annali, le cronache e le poesie medievali. Figurate: le monete, le pitture, le miniature, le stoffe, i tappeti, tutte le suppellettili per l’arredamento, dove fossero riprodotti gli stemmi familiari. La fonte principale sono i codici con stemmi che raccolgono tutto il materiale che si trova sparso nelle altre fonti.
I più antichi testi che portino riprodotti alcuni stemmi – fa osservare Paolo Battaglia La Terra Borgese – sono i manoscritti di Matteo di Parigi, monaco benedettino, che nei primi anni del secolo XIII si trovava nel convento di S. Albano, dove scrisse opere storiche corredate da stemmi disegnati di propria mano. Dal secolo XIV è il Canzoniere di Weingarten,in cui sono raffigurati 20 stemmi, riprodotti con i colori. Contemporaneo a questo è il Canzoniere di Heidelberg. Inquesti codici gli stemmi servono ad illustrare il testo, ma esistono veri e propri stemmari che, abbiamo già detto, servivano agli araldi per la verifica degli stemmi dei cavalieri in occasione dei tornei. Il più antico è uno stemmario inglese, che è tenuto a Londra dalla Society of Antiquaries. Esso contiene 486 stemmi. Di poco posteriore allo stemmario di Londra è quello di Zurigo, di particolare interesse, dato l’elevato numero degli stemmi che esso contiene: 559 stemmi e 28 vessilli vescovili. Dopo il XV secolo queste raccolte si fanno più frequenti – conclude Paolo Battaglia La Terra Borgese -.